giovedì 28 marzo 2019

Il triangolo Pikler

Il triangolo Pikler è uno strumento ideato dalla pediatra ungherese Emmi Pikler che, negli anni '30, sviluppò un' importante teoria sullo sviluppo del bambino: seguire ogni bambino nella sua individualità, consentendogli di muoversi liberamente e di sperimentare attraverso il proprio movimento. Questa libertà di movimento favorirebbe secondo la Pikler non solo lo sviluppo motorio e fisico, ma anche quello emotivo e relazionale. Per vivere nell’ambiente ed esprimere le proprie emozioni, il bambino ha solo il movimento come primo mezzo di comunicazione. Di conseguenza, lasciare i bambini liberi di muoversi e fare un’esperienza diretta nello spazio circostante è fondamentale per favorire la loro crescita e il loro sviluppo.
Il ruolo dell’adulto nel metodo Pikler è di puro osservatore: è presente per assicurare che il movimento del bambino avvenga in sicurezza, ma non interviene.

Il triangolo Pikler è uno strumento che presenta una struttura fatta in legno con forma triangolare. Attraverso l’uso di speciali rampe assicurate ai pioli della scala, il triangolo può inoltre essere implementato per consentire al bambino di svolgere più attività. Con esso i bambini possono svolgere diversi tipi di movimento come attaccarsi, strisciare, scivolare, salire e scendere. Con questo oggetto, i bambini, devono essere liberi di muoversi come preferiscono, solo così, impareranno a scoprire e conoscere i movimenti del proprio corpo, controllare e gestire i movimenti, coordinarsi. È fondamentale rispettare sempre i tempi di ogni bambino, senza forzatura o fretta di fargli imparare.
La fascia d’età in cui può essere utilizzato il triangolo di Pikler è 0-3 anni. Il bambino, intorno ai 3 anni, utilizzerà agevolmente il triangolo e sfrutterà al massimo tutte le sue funzioni.

Per approfondimenti sul tema:
Pikler, E. (1980). Per una crescita libera: l'importanza di non interferire nella libertà di movimento dei bambini fin dal primo anno di vita. Milano, Italia: Emme. 

martedì 19 marzo 2019


Il buon nido ludico



Sempre nell'ambito della tematica del gioco nella prima infanzia vorrei parlare oggi di un'esperienza portata avanti da alcuni nidi di Modena sia privati che comunali tra il 2005 e il 2007 per dotarsi di uno strumento che valutasse la qualità ludica. Gli obiettivi di questo percorso possono essere così sintetizzati:

  • Definire in modo partecipato le caratteristiche di un nido d'infanzia che possono favorire il gioco infantile
  • Tradurre tali caratteristiche in uno strumento di valutazione della qualità ludica del nido.
Alle discussioni preliminari hanno partecipato educatori, direttori pedagogici aiutati e guidati da un formatore.
Lo strumento che è emerso dai diversi incontri del gruppo di lavoro prende in esame alcune caratteristiche che dovrebbe avere il buon nido ludico come adeguati spazi di gioco sia interni che esterni, adeguati materiali di gioco, tempi di gioco che rispettino l'iniziativa del bambino ed interventi da parte degli educatori non intrusivi. Realizzare questo strumento ha consentito agli educatori di riflettere sulla propria esperienza quotidiana con i bambini e di mettersi in discussione esplicitando la propria idea di gioco e l'importanza a questo attribuito nella propria pratica educativa. 
Alla base del lavoro affrontato dal gruppo di lavoro la convinzione che il gioco sia voce del bambino, esperienza infantile imprescindibile, attività fondamentale per lo sviluppo sociale, emotivo, motorio, sensoriale e cognitivo del bambino. A partire da questo assunto, gli educatori, assieme ai coordinatori pedagogici hanno ripensato al modo e ai tempi della progettazione annuale per comprendere al suo interno anche spunti e suggestioni forniti dai bambini durante il gioco. 
Credo che una progettazione che tenga conto dei bisogni del bambino, assecondando e sviluppando il suo gioco spontaneo, possa restituire all'attività ludica il suo valore pedagogico ed al bambino la sua voce.


Per approfondimenti su questo tema:

Savio, D., Ferrari, M., Fiocchetti, F. (2011). Il gioco è l'identità educativa del nido d'infanzia. Parma: Edizioni junior.

venerdì 15 marzo 2019

Gioco simbolico


Non appena il bambino prende atto delle sue abilità e acquisisce confidenza con il movimento e con il linguaggio, adotta un particolare tipo di gioco caratterizzato dalla finzione, dall’interpretazione, dall’assunzione di ruoli. Tra i 24 e i 30 mesi (ma spesso anche già dai 18 mesi) il gioco simbolico diventa lo strumento conoscitivo ed espressivo attraverso il quale il piccolo cresce non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche per ciò che concerne l’aspetto affettivo.
Fanno parte di questa categoria di gioco il far finta di, i giochi di ruolo, i giochi in cui un oggetto assume il valore di oggetto transizionale.

Crescendo, il bambino affina la sua esperienza del mondo e il gioco simbolico diventa sempre più complesso e assume nuovi significati che vanno oltre la semplice imitazione del comportamento degli adulti.
Durante questa attività, che nasce nel tentativo di imitare il comportamento degli adulti e attraverso la quale il bimbo si appropria dei meccanismi della realtà, il bambino mette in atto inizialmente meccanismi imitativi che gli consentono di avvicinarsi al mondo degli adulti in una prospettiva ludica. In una fase successiva, il bambino diventa l’artefice stesso della realtà, colui che fa succedere cose, modellando a suo piacimento il mondo che lo circonda, sempre, però, all’interno di un meccanismo di finzione.
Il gioco simbolico non richiede la presenza di un adulto. Il bambino vi si dedica da solo oppure in compagnia di coetanei. Se l’adulto dovesse essere chiamato in causa, avrebbe l’obbligo implicito di stare alle regole del piccolo, sottomettendosi a esse anche qualora queste non dovessero essere credibili o verosimili.


Per approfondimenti sull'argomento:

- Winnicott, D. W. (2005). Gioco e realtà [Torrossa Reader version].
   Dal database https://www.torrossa.com/pages/ipplatform/enterTheBook.faces


mercoledì 6 marzo 2019

Quale gioco?

Nel post precedente si è trattato l'argomento dell'importanza del gioco fin dalla prima infanzia.

La domanda che ci si può porre ora è quale gioco? O meglio quale tipologia di gioco proporre a seconda delle età?

Come insegna Piaget, ad ogni fase della vita, corrispondono capacità cognitive e motorie diversificate e questo naturalmente non può che influenzare le modalità di gioco.
Oggi vorrei parlare di una attività ludica adatta ai bambini dai 6 ai 10 mesi o comunque fin dal momento in cui il bambino conquista la posizione seduta: il "cestino dei tesori".
Questa attività è stata "inventata" da una psicopedagogista britannica, Elinor Goldschmied. Si tratta di un cestino riempito con materiali non strutturati come ad esempio chiavi, pentolini, mestoli in legno, pigne, spazzole, stoffe e qualsiasi altro oggetto che i bambini possano trovare interessante, cercando di privilegiare materiali naturali. Il cestino si lascia a disposizione di un piccolo gruppo di bambini (3 o 4 al massimo) che sono liberi di esplorare a loro piacimento tutti gli oggetti in esso contenuti. Il ruolo dell'adulto in questa attività è di semplice osservatore.

Questo gioco stimola i sensi dei bambini che, attraverso l'esplorazione degli oggetti nel cestino, scoprono le diverse superfici e le diverse sensazioni che queste producono, inoltre, attraverso questa attività, i bambini possono sperimentare la coordinazione occhio-mano. E' un' attività molto semplice da realizzare, ma molto accattivante anche per i bimbi più piccoli che possono trascorrere anche parecchio tempo assorbiti dagli oggetti contenuti nel cestino.



venerdì 22 febbraio 2019

I ladri del gioco



La nostra dovrebbe essere l'epoca del gioco, le più alte istituzioni mondiali hanno riconosciuto il diritto al gioco.  Quanto emerge invece dalle statistiche invece è che i giochi dei bambini oggi sono spesso solitari ed entro le mura domestiche. 

Cosa è accaduto rispetto a qualche decennio fa, quando i bambini potevano sentirsi liberi di giocare all'aria aperta con i propri coetanei e quando l'unico limite temporale a questa attività era data dalle grida delle mamme che annunciavano la cena in tavola?
Chi ha rubato ai bambini il tempo e lo spazio del gioco? Chi sono i ladri del gioco?

Potremmo dire semplicisticamente che gli adulti con i LORO ritmi serrati e la loro ansia di rendere il gioco sicuro hanno imposto limiti dettati dal come giocare, dove e per quanto tempo. Diciamo più in generale che la cultura stessa e i valori veicolati influenzano le mentalità, gli usi e i costumi. 

Quali sono dunque le caratteristiche del gioco oggi?

Il gioco deve essere prima di tutto sicuro, quindi niente più spazi all'aperto ed esplorazione, ma le mura di casa o di qualsiasi altra istituzione che proponga corsi o laboratori. E se proprio il gioco deve avvenire all'aperto, che almeno avvenga in spazi dedicati. Tutto in un'ottica di sicurezza dove le regole sono dettate da adulti ansiosi.

Un'altra caratteristica che contraddistingue il gioco oggi è la pressione del tempo, e a decidere il tempo non è il bambino, ma un adulto pressato dai mille impegni, che passa da un'attività all'altra e riempie anche il tempo dei bambini con corsi e "corsetti" per rendere "di più" il proprio figlio.
Sono gli adulti che regolano le situazioni di gioco, decidendo per quanto tempo, dove e a quali condizioni il proprio figlio può giocare. Così facendo vengono rubate ai bambini esperienze fondamentali non solo per lo sviluppo della propria autonomia, ma anche per la formazione della propria personalità.

La mia domanda a questo punto è: cosa possiamo fare in veste di educatori per restituire al gioco piena dignità a scuola, ma anche nella vita di tutti i giorni?
Sono convinta che il problema vada analizzato dalla sua base, ovvero qual'è la rilevanza che noi come adulti diamo al gioco?

Io penso che il gioco sia la voce del bambino, l'unico modo che ha, per un certo periodo della sua vita, e qui mi riferisco all'età pre-scolare, per esprimersi, per manifestare desideri, bisogni, ma anche disagi. A partire dal riconoscimento della crucialità del gioco durante l'infanzia, penso si possano progettare percorsi educativi che mettano al primo posto l'esperienza ludica e che non classifichino il tempo in cui si gioca e quindi non si produce nulla, come un tempo perso.
A tal proposito si potrebbe ragionare su un percorso a più step che preveda in primo luogo il riconoscimento della centralità del gioco da parte degli educatori nei servizi per l'infanzia e una progettazione su di esso basata, in secondo luogo una condivisione con tutti gli operatori del servizio e con i genitori e gli adulti di riferimento di tali consapevolezze, tutto in un'ottica di promozione di una buona cultura ludica.


Il triangolo Pikler Il triangolo Pikler è uno strumento ideato dalla pediatra ungherese  Emmi Pikler che, negli anni '30,  svilup...